Dagli spazzolini ai componenti per computer, ecco il materiale più versatile: la plastica dopo aver dato il via a una nuova era caratterizzata da beni di consumo economici negli anni Cinquanta, la plastica ha conquistato il mondo. Il merito del suo successo sta nella versatilità: può essere dura o morbida, opaca o trasparente, flessibile, elastica o fragile, ma tutte le varianti hanno una caratteristica in comune: possono essere modellate in qualsiasi forma. Le plastiche sintetiche vengono realizzate unendo dei monomeri, piccole molecole a base di carbonio, in lunghe catene chiamate polimeri.

Si parte da monomeri estratti dal petrolio o da gas naturale e, unendo diversi tipi, si creano plastiche con una vasta gamma di proprietà. A livello molecolare, le catene di polimeri si intrecciano come spaghetti in un piatto, rendendo la plastica molto resistente. Ci sono due metodi diversi per unire i monomeri in un polimero. Nella polimerizzazione viene aggiunto un elemento chimico che agisce come catalizzatore e fa sì che i monomeri si combinino in una resina.

La policondensazione, invece, prevede di combinare i monomeri in modo che rilascino un prodotto di scarto. In entrambi i casi è possibile miscelare additivi, come un pigmento per alterare le proprietà del prodotto. Le plastiche si suddividono in due categorie: termoplastiche e termoindurenti. Dopo essere state fuse e raffreddate, le materie termoplastiche possono essere sciolte rimodellate perché le catene di polimeri hanno legami molto deboli, che vengono spezzati dal calore. Riscaldando una plastica termoindurente i legami si saldano in modo permanente, rendendo impossibile rimodellare il prodotto.

Produrre e riciclare la plastica

Per creare oggetti in plastica si usano diverse tecniche. Le vaschette, per esempio, sono realizzate mediante iniezione, cioè i granuli riscaldati sono iniettati ad alta pressione in uno stampo cavo. Pellicole e tubi invece vengono creati forzando la plastica fusa attraverso una piccola apertura, un metodo detto “estrusione”. Riciclare la plastica è semplice, in teoria: si trita il materiale in fiocchi, si lavano via le impurità, si fonde di nuovo il tutto in granuli e si è pronti a ricominciare da capo. Nella pratica è un po’ più complicato.

Mentre le termoplastiche come il PET possono essere fuse e riutilizzate, le plastiche termoindurenti non si sciolgono e non possono quindi essere riciclate. quindi necessario separare i diversi tipi di plastica per indirizzarli ai diversi trattamenti, un procedimento molto laborioso. Altre plastiche, come il polistirene, sono in teoria riciclabili, ma il processo non è conveniente dal punto di vista economico. Con le riserve di gas e petrolio che si assottigliano, c’è una forte spinta verso la ricerca di bioplastiche, realizzate a partire da piante come il granoturco o la canna da zucchero. Sono tuttavia necessarie ancora molte ricerche per abbatterne il costo e risolvere le sfide ecologiche della biodegradabilità e del riciclo.

Nel frattempo, sembrano interessanti anche altri sviluppi. I polimeri autoriparanti, per esempio, che sono in grado di richiudere i graffi. Se ne stanno studiando di diversi tipi, uno dei quali prevede di aggiungere delle microcapsule di un “agente riparante” nella struttura del polimero. Quando la plastica viene danneggiata, viene liberato e catalizza una reazione che forma nuovi legami nella struttura. In un altro ambito, la stampa 3D sta aprendo molte nuove possibilità a ciò che è possibile fare con la plastica. Al posto dell’inchiostro, la testina di una stampante 3D è riempita con un polimero (o, a volte, un metallo) che può essere fuso e disposto in strati per creare ogni sorta di oggetti.